Disturbo di Dismorfismo Corporeo o Dismorfofobia
Disturbo di Dismorfismo Corporeo: i sintomi
Cinzia ha 17 anni. Passa molto, troppo tempo allo specchio, scrutandosi attentamente il volto. Attraverso un gioco di specchi, cerca di guardare la sua immagine di profilo. Si studia dappertutto, anche nel riflesso dei finestrini delle auto per strada. Vuole vedersi come gli altri la vedono…anzi come vedono il suo naso. Non vede l’ora di compiere 18 anni perché ha intenzione di chiedere come regalo ai suoi genitori un intervento di rinoplastica, che ritiene l’unica soluzione possibile per rendere la sua vita accettabile. Al primo anno delle superiori, un suo compagno (quello che le piaceva tanto) la derise per la “gobba” del suo naso. Lei non ci aveva mai pensato, ma da allora cominciò a pensare che quel difetto ce l’aveva e lo sapevano tutti…anzi, forse era per quello che spesso la gente la guardava. Doveva essere davvero così brutto! Iniziò perciò a chiedere in famiglia quanto quella gobba fosse brutta ed evidente e a niente valevano le rassicurazioni. Si diceva che nessuno le avrebbe mai detto apertamente che il suo naso era così orribile, soprattutto in famiglia. Iniziò a provare molta vergogna a mostrarsi e, se qualcuno la guardava in viso, cercava in tutti i modi di sottrarsi. Escogitò dei modi per rendere meno visibile quel difetto, come indossare degli occhiali, truccarsi molto, coprirsi coi capelli ecc. Sentiva che nessun ragazzo avrebbe mai voluto stare con lei e che anzi l’avrebbero denigrata tutti. Divenne sempre più chiusa e schiva, rifiutando gli inviti alle feste e le occasioni di stare coi suoi coetanei. La sua autostima ormai è bassissima e si è convinta che solo un intervento di chirurgia estetica potrebbe migliorare la sua vita, cosa che i suoi genitori le hanno rifiutato categoricamente. I genitori di Cinzia sono perfettamente consapevoli che quello della figlia è solo un lieve difetto, quasi impercettibile, non tale da richiedere un azione così invasiva. Pertanto, fissano per lei un appuntamento da uno psicologo.
Quello di cui soffre Cinzia prende il nome di Disturbo di Dismorfismo Corporeo (DDC), anche conosciuto come “dismorfofobia”. Chi soffre di questo disturbo è costantemente preoccupato per un difetto, un’imperfezione o una parte del proprio corpo che ritiene brutto, anche se in realtà gli altri neanche lo notano o lo ritengono lieve. Le persone con DDC presentano un’elevata attenzione selettiva al dettaglio (cioè, si concentrano unicamente sul particolare ritenuto difettoso), perdendo di vista la visione olistica, complessiva della propria immagine corporea. Nell’ultima versione del DSM (Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali) il disturbo viene incluso nella categoria diagnostica dei disturbi ossessivo-complulsivi perché le costanti preoccupazioni relative al proprio difetto, al pari delle ossessioni, generano ansia, in risposta alla quale l’individuo mette in atto dei comportamenti ripetitivi (guardarsi allo specchio, truccarsi molto, chiedere rassicurazioni, fare confronti con gli altri ecc). Quando questi comportamenti diventano eccessivi arrivano a richiedere molto tempo per la loro attuazione, compromettendo il funzionamento scolastico/lavorativo, sociale e familiare. Il disturbo può provocare molta sofferenza e spesso è accompagnato dalla comparsa di depressione. Come nei disturbi del comportamento alimentare, nel DDC viene attribuita un’importanza eccessiva (quasi totale) all’apparenza fisica nella valutazione del proprio sé. Ne deriva che, se non sei bello, allora non vali niente. Soddisfazione corporea e autostima sono strettamente legate ed è facile intuire quanto quest’ultima possa essere danneggiata in un individuo che basi la propria autostima solo sull’apparenza fisica, ma si ritiene brutto o addirittura orribile (come accade nel DDC).
Generalmente compare intorno ai 16-17 anni ed è solo lievemente più frequente nelle donne rispetto agli uomini. Tra questi ultimi, le preoccupazioni riguardano soprattutto la massa muscolare e i genitali. La frequenza è anche piuttosto elevata, infatti si attesta intorno al 2% nella popolazione generale (con fluttuazioni che dipendono dai diversi Paesi). Inoltre, se si considera la fascia d’età giovanile, la prevalenza può raggiungere il 13%.
L’adolescenza è un periodo notoriamente cruciale nella definizione del senso di identità personale e molto importanza assume l’accettazione da parte dei pari: essere popolari e apprezzati è un desiderio di (quasi) tutti. Per questa ragione, se non piaci “non sei nessuno”. Diventa fondamentale piacere per piacersi. Il numero di like ad una propria foto su un social diviene una misura dell’accettazione e del gradimento sociale. Succede però che qualcuno diventi un giudice di se stesso più severo di quanto non facciano gli altri: a lui non sono concessi difetti; niente va bene che non sia la perfezione (stabilita in base ai canoni di bellezza correnti nella cultura di appartenenza). Chi sviluppa il DDC tende ad avere una visione dicotomica: se non sono perfetto/a, allora sono bruttissimo/a. La ricerca della perfezione diventa un obiettivo primario, spingendo a dedicare tempo e denaro per correggere tutti i presunti difetti, senza per altro raggiungere mai la soddisfazione. Questa ricerca della perfezione può estendersi anche in altri domini della vita (ad esempio nello studio), dove l’individuo cerca di compensare le sue carenze sul piano fisico (“sono brutta, ma se vado bene a scuola almeno qualcosa valgo”). Per questa ragione si sviluppa anche una forte ansia associata alle prestazioni in questi altri ambiti, in quanto un eventuale fallimento verrebbe vissuto come la prova dell’assoluta mancanza di valore personale.
Roberta di anni ne ha 25, anche lei è convinta di non piacere e per questo fa una vita molto ritirata. Quando sta in mezzo agli altri prova profondo disagio per il suo aspetto fisico al punto che preferisce rimanere a casa. Non si impegna neanche a curarsi e a migliorare il suo aspetto perché ritiene che ogni tentativo sarebbe inutile, oltreché ridicolo. Se qualcuno le fa un complimento pensa che sia per prenderla in giro o per pietismo. Questo è un errore di pensiero comune tra chi soffre di questo disturbo: concentrarsi solo sulle informazioni che confermano le proprie credenze e trascurare, sminuire o distorcere quelle che invece proverebbero il contrario. Alcuni studi forniscono le prove della tendenza dei pazienti con DDC a distorcere le informazioni visive: quando guardano delle fotografie raffiguranti volti con espressioni neutrali rivolti verso di loro, i pazienti con DDC, rispetto ai soggetti sani, tendono ad interpretare quelle espressioni come sprezzanti e arrabbiate. E’ quello che continuamente accade ai pazienti dismorfofobici nella vita quotidiana: se qualcuno per strada posa, anche solo fugacemente lo sguardo su di loro, si convincono di essere stati guardati per il loro difetto e per la loro bruttezza e aver suscitato disgusto o un giudizio negativo (“l’ho capito dall’espressione che ha fatto”).
Disturbo di Dismorfismo Corporeo: la Terapia
L’intervento di psicoterapia dovrebbe innanzitutto mirare a ridimensionare l’eccessiva importanza attribuita all’aspetto fisico nella definizione del proprio sé e del valore personale. L’autostima dovrà essere poi rafforzata puntando su una visione più olistica, complessiva della persona, in cui gli aspetti della personalità, gli interessi, le capacità relazionali, le competenze ecc devono essere presi maggiormente in considerazione. Altre importanti aree su cui lavorare sono: l’interruzione dei cicli interpersonali disfunzionali (es: Roberta si auto-isola per sottrarsi al giudizio degli altri; perciò delle volte accade che i suoi amici non la coinvolgano e lei interpreta questa circostanza come la conferma del fatto che la gente la rifiuti e la eviti per la sua bruttezza); confutare le convinzioni disfunzionali (es: "le persone giudicano solo in base alla bellezza, perciò, se sei brutto, ti deridono e ti evitano"); interrompere i comportamenti di controllo, come guardarsi troppo allo specchio (è stato infatti dimostrato che il checking allo specchio aumenta l’insoddisfazione per il corpo, influenza negativamente l’umore e abbassa l’autostima); favorire la defusione e il distanziamento dai pensieri disfunzionali (Scarinci e Lorenzini, 2015). Molteplici sono le tecniche proposte all'interno del modello della Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale, tutte adeguatamente validate e che hanno dato prova di efficacia.
Uno dei principali ostacoli al trattamento psicoterapeutico è che questi pazienti faticano a riconoscere che il loro problema è di natura psicologica, tanto sono convinti della veridicità e gravità del loro difetto fisico. Convinzione che può persino raggiungere livelli deliranti. Per loro, la principale soluzione è rappresentata dal bisturi o da costosissimi trattamenti. Uno studio (Castle et al., 2002) riporta che dal 6% al 15% delle persone con diagnosi di BDD richiedono interventi di chirurgia estetica, ma non ne traggono beneficio; anzi, a volte, l’esito di tali interventi promuove un peggioramento del disturbo stesso, cui segue una progressiva richiesta di ulteriori procedure volte a migliorare un difetto fisico spesso inesistente ed un peggioramento della sintomatologia psichica associata.
Per questa ragione, Pollice e collaboratori (2009) dell’Università dell’Aquila sottolineano l’importanza di una collaborazione tra i servizi di Psichiatria e Chirurgia Plastica, al fine di formulare una diagnosi precoce, evitare un peggioramento della sintomatologia e un’irreversibile compromissione del funzionamento del soggetto, nonché per fornire indicazioni al chirurgo sulla candidabilità all'intervento.
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