La “sindrome del burnout”
Il burnout viene ancora oggi considerato da alcuni una forma particolarmente esasperata di stress lavorativo, benché 40 anni di ricerche abbiano dimostrato che si tratti di un fattore di rischio psicosociale del tutto peculiare. Il burnout infatti, pur essendo una forma di stress lavorativo cronico, è una sindrome multidimensionale caratteristica delle helping profession e delle professioni high touch, per il contatto continuo e diretto con persone in difficoltà. La dimensione interpersonale del disagio è l’aspetto distintivo chiave rispetto allo stress lavorativo, che è invece trasversale a tutti i tipi di lavoro. Altro aspetto distintivo è la durata: mentre lo stress lavorativo è una reazione momentanea di adattamento e può quindi rientrare facilmente nella norma, il burnout ha effetti più a lunga durata (cronico).
Secondo una definizione di Freudenberger (1974), il burnout “è lo stato di esaurimento determinato dall’avere a che fare con altri in situazioni impegnative sotto il profilo emotivo. Il burnout è come fallire, logorarsi, consumarsi o essere esaurito dal porre eccessive richieste alle proprie energie, forze o risorse”. Il termine inglese burnout può essere tradotto come “bruciare fino in fondo” e rende l’idea della spinta iniziale che si esaurisce e lascia in qualche modo vuoti gli operatori. Dal punto di vista fenomenologico si caratterizza per essere una sindrome multidimensionale in cui si distinguono tre componenti (Maslach e Leiter, 2000):
- esaurimento emotivo = stanchezza psicofisica e sensazione di essere emotivamente svuotato che può manifestarsi con disperazione, depressione, irritabilità, impazienza, scontrosità, fatica cronica, cefalee, nausee, tensioni muscolari e disturbi del sonno;
- depersonalizzazione = questa dimensione è quella più tipica della sindrome perché riguarda il livello più specificatamente interpersonale. La depersonalizzazione è stata interpretata come un meccanismo di difesa dalle relazioni emotivamente troppo coinvolgenti con l’utente, come un tentativo di porre una barriera tra sé e l’utente. Essa comporta distacco, negatività verso l’altro e cinismo: trattando l’utente come un oggetto le richieste diventano più gestibili;
- ridotta efficienza professionale = sensazione di diminuzione o perdita della propria competenza professionale e del proprio desiderio di successo, con conseguente disaffezione lavorativa (atteggiamento negativo e di distacco verso l’attività lavorativa), ridotta produttività e assenteismo.
I fattori che possono predisporre al burnout si possono suddividere in tre categorie di variabili spesso correlate fra loro: variabili ambientali-organizzative; variabili socio-culturali; variabili individuali
Il burnout degli insegnanti
Come detto, il burnout è un fattore di rischio psicosociale caratteristico di determinate categorie professionali, accumunate dall’alto coinvolgimento emotivo con la propria utenza. L’aspetto relazionale è proprio la caratteristica peculiare di questa sindrome che la contraddistingue rispetto al generico stress lavoro-correlato. Il contatto tra gli insegnanti e i propri alunni è diretto e continuativo; la funzione del docente non è solo la crescita educativa, ma anche quella personale e intellettuale dell’allievo. E’ in questa relazione, a volte frustrante, che si possono rintracciare i presupposti per lo sviluppo del burnout negli insegnanti.
Lodolo D’Oria ha osservato che la categoria insegnanti presenta un rischio di insorgenza di patologie psichiatriche più alto rispetto ad altre categorie lavorative. In questo studio, partendo dall’analisi degli accertamenti sanitari per l’inabilità al lavoro, svolta dai Collegi Medici della ASL Città di Milano nel periodo 1/92 – 12/01 [1] per un totale di 3.049 casi clinici, sono state confrontate quattro macrocategorie professionali di dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (696 insegnanti, 596 impiegati, 418 sanitari, 1340 operatori). In controtendenza con gli stereotipi diffusi nell’opinione pubblica, i risultati dimostrano che la categoria degli insegnanti è soggetta a una frequenza di patologie psichiatriche, indipendentemente da fattori quali il sesso e l’età, pari a due volte quella della categoria degli impiegati, due volte e mezzo quella del personale sanitario e tre volte quella degli operatori. Questi dati non solo confermano quelli di altre ASL e Università italiane, ma anche quelli di studi condotti in altri Paesi, come Francia, Germania e Giappone.
Dal punto di vista fenomenologico, il burnout nell’insegnante si manifesta con dei tratti ben riconoscibili: “l’insegnante in burnout è talmente esaurito fisicamente e mentalmente da non essere più in grado di esercitare le sue funzioni. Ciò lo porterebbe ad assumere una serie di comportamenti di distacco patologico, sia a livello emotivo, limitandosi a svolgere i compiti routinari del proprio lavoro (es: spiegazione, interrogazione, compilazione documenti ecc.), sia a livello fisico, aumentando le assenze dal posto di lavoro. Sul piano didattico l’insegnante in burnout si limiterebbe ad un’applicazione rigida e burocratica delle procedure di lavoro e delle regole, cercando di mantenere la debita distanza dagli alunni. Sul piano psicologico prova sentimenti di disumanizzazione e colpevolizzazione, cercando, come meccanismo di difesa, di attribuire il fallimento scolastico dell’allievo a fattori estranei a se stesso (colpevolizzazione della vittima)” (tratto da Chirico e Ferrari, 2020).
[1] Lo studio Getsemani è un'importante ricerca svolta dall'Associazione Docenti Italiana che si è occupata di trovare la correlazione esistente tra la patologia psichiatrica e il fenomeno del burnout negli insegnanti.
Fattori di rischio per il burnout degli insegnanti
Chirico e Ferrari (2020) riportano una review dei fattori causali, raggruppandoli in tre macrocategorie: cause di tipo lavorativo, di tipo socio-culturale e individuali. Come si vede, questi fattori coincidono con quelli individuati per il rischio burnout in generale (cioè comune a tutte le helping profession), ma nel loro lavoro Chirico e Ferrari raccolgono tutti i fattori così come si declinano nella professione degli insegnanti:
1) Cause di tipo lavorativo: classi affollate; risorse inadeguate; incremento del numero e della complessità delle mansioni; svolgimento di compiti aggiuntivi al di fuori dell’orario lavorativo; sovraccarico di lavoro; percezione di avere a che fare con un sapere che varia continuamente e che non può essere appreso una volta per tutte; richiesta crescente di acquisizione di nuove competenze; necessità di aggiornamento costante; veloci e continui cambiamenti dei metodi didattici; molteplicità di ruoli; scarsa autonomia decisionale; conflitti di ruolo; relazioni problematiche con colleghi, superiori, genitori e studenti; precariato e mobilità; mancanza di possibilità di fare carriera; retribuzione non commisurata; burocratizzazione del lavoro che sottrae tempo ai compiti/educativi e didattici.
2) Cause di tipo socio-culturale: calo del prestigio sociale; classi multietniche e multiculturali; inserimento dei portatori di handicap nelle classi; delega educativa da parte della famiglia; susseguirsi continuo di riforme; scuole i zone svantaggiate dal punto di vista sociale; scuole in zone periferiche con meno opportunità da parte del territorio; avvento dell’era informatica; introduzione della valutazione dei docenti da parte di genitori e studenti; aumento delle richieste e delle aspettative da parte della società; la maggior partecipazione degli studenti alle decisioni e conseguente livellamento dei ruoli con i docenti.
3) Cause di tipo individuale: molti studi hanno indagato la correlazione tra burnout e variabili socio-demografiche, quali età, genere, anzianità di servizio, stato civile e tipo di scuola. Sembrerebbe che essere più giovani, maschi e all’inizio della carriera esporrebbe ad un rischio maggiore di sviluppare il burnout, ma su questo non c’è un accordo unanime. Un dato che risulta invece consistente e confermato anche da studi internazionali è che gli insegnanti delle scuole secondarie di secondo grado avrebbero un rischio maggiore rispetto a quelli delle scuole primarie. Oltre alle variabili socio-demografiche sono stati individuati anche dei fattori di personalità che potrebbero predisporre al burnout: personalità molto competitiva, con alto livello di aspirazione; essere idealisti e introversi; inadeguate strategie di coping; rigidità; aggressività; affettività negativa.
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